Intervista a Maria Vittoria

Chi sei?

Mi chiamo Maria Vittoria Strappafelci e sono originaria di San Lorenzo Nuovo, un piccolo paese della provincia di Viterbo, ma attualmente vivo a Roma.

A che età hai iniziato ad avere i primi disturbi alimentari?

I miei primi disturbi sono iniziati all’età di 17 anni e mezzo, in seguito a varie vicissitudini negative che ho vissuto da bambina e nella mia prima parte adolescenziale.

Che sensazione ti dava e ti dà il cibo?

Il cibo, nel momento in cui ero malata, appagava tutti i miei stati d’animo. Appagava il vuoto, la tristezza, l’angoscia, era diventato la mia droga e la mia salvezza allo stesso tempo. Sentimenti contrastanti che vivevo dentro di me, dove era in atto una guerra spietata tra il mio corpo e la mia mente. Oggi il cibo per me è vita. Ho ritrovato il piacere del gusto e dei sapori di ogni pasto e soprattutto il piacere di condividerlo insieme alle persone che amo. Tengo a precisare che durante il mio percorso di terapia
è stato “medicina” per uscire definitivamente dalla malattia.

L’ascesa verso il disturbo è stata rapida?

È iniziato gradualmente. In quel preciso momento non sapevo cosa mi stesse succedendo e piano piano mi sono incanalata in quel tunnel buio dell’anoressia per immergermi completamente e perdere definitivamente il controllo di me stessa, ma lo stesso controllo lo esigevo in determinati comportamenti malati.

Come ti è scattato questo meccanismo?

Il meccanismo diabolico, che scatta in una malattia devastante come il disturbo alimentare, è quando si rompe l’equilibrio tra mente e corpo e si vede la propria immagine corporea, riflessa allo specchio, completamente distorta.

Che tipo di rapporto hai con la tua famiglia?

Ho avuto sempre un buon rapporto con la mia famiglia, anche se la radice del mio disturbo deriva proprio dalla famiglia, ma in un contesto molto diverso da come si può pensare. Io sin da bambina ho vissuto molto forte la malattia di mio padre e, non avendo i genitori presenti in quel momento importante della crescita perché mia madre lo doveva seguire nei suoi percorsi ospedalieri, ho percepito questa mancanza come un abbandono esternando il lato ribelle del mio carattere contro tutti e contro il mondo intero. Questa è stata la causa principale del mio disturbo alimentare.

L’anoressia si lega spesso alla bulimia, che esperienza hai a riguardo?

Ho avuto un’esperienza molto forte in tutta la mia malattia anche nei riguardi della bulimia con compensazione che ha danneggiato gran parte dei miei organi. Una fase che è scattata automaticamente dopo i miei lunghi digiuni dovuti all’anoressia.

Abbiamo parlato del modo in cui le persone che soffrono di anoressia piuttosto che di bing-eating si guardano a vicenda: cosa puoi dirmi a riguardo?

Nel miei lunghi anni in cui ho vissuto con il problema del disturbo alimentare, odiavo la gente “grassa”. Vedevo in loro ciò che io mai volevo essere e ancor di più mettevo alla prova il mio corpo con il dimagrimento, perché la perfezione, nella mia mente malata, era la magrezza! Oggi dopo la terapia vedo tutto sotto un’altra prospettiva con la consapevolezza della comprensione quando si vive con una malattia.

In che modo hai cercato di guarire? Che tipo di cure hai ricevuto e come stai affrontando la vita ora?

Ho fatto il mio percorso di terapia al centro Aidap di Roma con la Dottoressa Maria Grazia Rubeo. Un lungo percorso durato più di cinque anni e fondamentale per la mia guarigione. Non ho assunto farmaci e non sono stata ricoverata. Con l’aiuto della psichiatra dovevo allontanare e combattere tutti i pensieri malati che avevo nella testa per ritornare ad essere libera e di nuovo Vittoria di un tempo lontano. Mi son confrontata con me stessa ed ho combattuto in maniera molto forte quel “mostro” che mi stava portando alla morte. Per uscire dal problema bisogna acquisire la consapevolezza di essere persone malate ed intraprendere così un percorso. Ritengo questa una delle motivazioni più importanti e poi tanta forza e determinazione per portare avanti questa battaglia che si vince. Per cui oggi vivo la vita giorno per giorno
nella serenità che ho trovato grazie all’uomo che sta al mio fianco.

Se dovessi dare un consiglio a qualche persona malata di disturbi alimentari, quale daresti?

Non è facile dare consigli ad una persona malata se dentro di lei non c’è consapevolezza e di conseguenza guarire. Il modo migliore è starle vicino senza riprenderla con toni minacciosi nei suoi comportamenti malati. Instaurare un dialogo credo sia di fondamentale importanza, è un piccolo sblocco, perché la persona che soffre tende a chiudersi in sé stessa.

Quanto di quello che abbiamo sempre creduto riguardo i disturbi alimentari è vero? Quanto falso?

Purtroppo il disturbo alimentare non è molto capito nella società, anche se si sono fatti passi avanti notevoli, ma nelle persone rimane sempre un po' di ignoranza, perché molto spesso un problema grave, come può essere l’anoressia, viene spesso giudicato un capriccio per non mangiare. Ecco perché bisogna fare prevenzione e sensibilizzare la società per far comprendere nella sua totalità cosa sia davvero un disturbo alimentare.

Ti capita mai di ricevere mail, contatti da altre ragazze che soffrono di disturbi alimentari? Come ti comporti in questi casi?

Ricevo tanti messaggi di ragazze che soffrono di DCA chiedendomi aiuto e consigli.
Sanno che sono uscita da questa malattia e trovano in me, come anche in altri che sono guariti, un punto di riferimento e soprattutto trovano comprensione per gli stati d’animo che vivono. Io cerco di aiutare nel miglior modo possibile a seconda del momento che vivono e anche se può sembrare poco il mio contributo, so che per loro è una gioia immensa che aiuta a superare delle difficoltà con più leggerezza. La stessa gioia è per me, perché comprendo quanto sia fondamentale rapportarsi per chi è
malato.

Guarire è veramente possibile?

Dai disturbi alimentari si può uscire e si può guarire! Sì, questa è la mia risposta! A tal proposito aggiungo che ho scritto il libro autobiografico “Il Digiuno dell’anima. Una storia di anoressia” (edizioni Kimerik) attraverso il quale da qualche anno porto avanti una campagna di sensibilizzazione anche tra i giovani nelle scuole, affinché i DCA siano sempre più conosciuti e riconosciuti come una vera patologia e non come un semplice capriccio.

Ciao e grazie per il prezioso tempo che mi hai dedicato!