“Mancanza d’affetto: non dell’affetto che le abbiamo dato con la ragione, ma di quello che non siamo riusciti a darle con il cuore”.
Buongiorno, oggi vi riporto la mail di una mamma riconoscente, da una mamma che parla anche per nome del papà e ho deciso proprio, con il consenso di Maria (nome di fantasia) di riportarvela tutta, proprio per trasmettervi l’importanza che ha la comunicazione e il mio continuo sensibilizzare su questo tema, che per anni è stato definito “Il capriccio delle modelle“.
Userò anche per la protagonista un nome di fantasia: Elisabeth.
“Cara Imma,
piacere sono Maria e voglio raccontarti la nostra storia. Da più di due anni ormai mia figlia soffre di anoressia e di bulimia, ha 17 anni, raramente ha nascosto il suo male, all’inizio si è sottoposta a diete molto rigide poi nell’arco di pochi mesi è passata alla bulimia. Ha sofferto terribilmente, ha chiesto aiuto ma il desiderio di guarire si alternava alla paura di uscire dal rifugio – malattia, guarire significava dover affrontare con coerenza e con quella maturità che dovrebbe essere propria di una 17 enne nel mondo esterno. Ero disorientata e molto diffidente nei confronti degli specialisti ai quali avrei dovuto affidare mia figlia, tra me e mio marito ci fu una spaccatura io speravo che Elisabeth se inserita in un contesto sociale umano e disponibile avrebbe potuto superare i suoi problemi, credevo che una cura insieme ad altri malati, avrebbe provocato un rallentamento della guarigione, mio marito considerava risolvibile la malattia della nostra ragazza solo attraverso il ricovero, ci furono scontri che credo ancora di più abbia reso instabile il già precario equilibrio di nostra figlia.
Le terapie
Alla ricerca di compromessi tentiamo varie terapie, la conseguenza fu un peggioramento dello stato di nostra figlia, si isolava, si abbuffava, rimetteva in continuazione fino a 50 volte al giorno, fu un incubo le nostre abitudini familiari furono sconvolte, noi siamo genitori ansiosi e apprensivi concentrati sulla nostra unica figlia, ci siamo sentiti impotenti di fronte a queste strane richieste d’aiuto e di conseguenza incapaci di capire l’origine del male che affliggeva tutti noi.
Mancanza d’affetto dal cuore
Elisabeth si getta nella danza classica, una speranza ma troppo poco per superare la malattia, credo che Elisabeth abbia soprattutto sofferto di mancanza di affetto non dell’affetto che abbiamo dato con la ragione ma di quello che non siamo riusciti a darle con il cuore, solo chi ha provato cosa vuol dire vivere male, essere in preda ad un incubo, potrà capire cosa si prova a vivere questo dramma che ti colpisce, ti devasta. La nostra è una famiglia che viveva un esistenza armoniosa serena proprio non riesco a capire come si possa imputare la famiglia, la madre in particolare, l’origine del male. Portarsi dentro anche il peso di questa colpa rende tutto più difficile.
Come madre mi sono allarmata, il primo sintomo quel frazionare selezionare ridurre sempre di più le porzioni la maniera sbrigativa di consumare quel poco cibo e nasconderlo nella propria stanza, i frequenti sbalzi di umore il chiudersi in se stessa, mi facevano capire che qualcosa di molto grave stava accadendo, a questo stato di cose avevo persino paura di dare un nome. Molto presto lei diventa il centro delle nostre attenzioni, i fratelli e sorelle forzatamente trascurati subivano la situazione contemporaneamente cresceva in Elisabeth la determinazione a non mangiare, tentavo in tutti i modi di farle prendere coscienza dell’assurdità del suo comportamento, ma il peso continuava a diminuire e la situazione sempre più conflittuale, cercavamo di circondarla d’affetto che lei respingeva, rifiutava tutto, ci rivolgiamo agli psicologi della città, ma lei veniva solo per farci piacere, le psicoterapie sortivano l’unico effetto quello di permettere a nostra figlia di farci capire che il problema era nostro e non suo.
I pregiudizi ignoranti
Vivendo in un piccolo paese lontano da centri, strutture specializzate non c’erano, nessun aiuto aggravato dal fatto che mentre gli interlocutori pretendevano che fosse la diretta interessata ad interpellarli, hai voglia. Intanto nella famiglia crescevano le sensazioni di impotenza, di disperazione, il nostro ambiente sociale leggeva la malattia di Elisabeth con i pregiudizi che sono propri dell’ignoranza.
Approdammo poi in un centro, una decisione sofferta accompagnata dai timori di tanta confusione era giusto allontanare da casa la nostra figliola? Avremmo fatto veramente bene?
Molti ci sconsigliarono, altri sostennero infondendoci coraggio, la lontananza fu terribile inizialmente Elisabeth ci incolpava di averla tradita, di averla indotta con l’inganno a sostare per un periodo indeterminato, lontano da casa, è vero la costringeva a curarsi, ma con la prospettiva di un futuro rosa.
Il ricovero
Da oltre due mesi manca da casa, l’abbiamo vista qualche giorno fa e nei suoi occhi abbiamo colto una luce diversa, Elisabeth oggi è consapevole della sua malattia, vuole uscirne. Ecco perché ti sto scrivendo, in primis perchè ho iniziato a seguirti sui social e appoggio totalmente la tua sensibilizzazione, la tua voglia di trasmettere il messaggio e la tua voglia di far capire al mondo che siamo circondati da milioni di persone con disturbi alimentari, e tanti non se ne rendono conto e quindi voglio fare un appello a istituzioni e alle associazioni, di non abbandonare le famiglie che vivono questo dramma, sostenetele, date la forza perché possano trasmetterla ai loro figli.
Con affetto e stima da una mamma riconoscente”.
Dopo questa email voglio chiederti, quali sono le tue riflessioni a riguardo?
Anche tu hai notato dei comportamenti strani in tua figlia/o?
Ho tu personalmente ti senti sola, pensi di essere l’unica ad avere un rapporto conflittuale con il cibo e a non accettare il tuo corpo?
Sappi che non lo sei e sappi che se ne può uscire, io sono la prova evidente e se vuoi sapere come ho fatto scrivimi tranquillamente in privato sarò lieta di spiegarti come ho fatto.
Ciao con affetto, Immacolata.